Sogno e immaginazione: istruzioni per l’uso

E se tutti noi fossimo sogni che qualcuno sogna, pensieri che qualcuno pensa?

Fernando Pessoa

Sogno, immaginazione.

Sono parole che usiamo spesso, nel linguaggio comune, per dire speranza, possibilità, realizzazione, ma questi sono desideri.

“Se puoi sognarlo, allora puoi farlo” diceva, mi sembra, Walt Disney, e certamente non si sbagliava perché se quell’immagine di realizzazione è dentro di noi, significa che ci appartiene già. Ma, non è detto che si realizzerà nei modi in cui l’abbiamo fantasticata perché l’immaginazione e il sogno non appartengono al mondo concreto; di esso prendono solo le “figure” per rappresentarci la nostra realtà psichica che è multiforme, complessa e caleidoscopica e non si accontenta certo del nostro piccolo sforzo quotidiano di felicità.

Dipende su dove poniamo lo sguardo: se guardiamo le stelle, in alto, nel futuro proiettandoci in avanti, esprimiamo un desiderio; se guardiamo dentro con la coscienza addormentata – di notte, per esempio, mentre dormiamo – stiamo sognando. Questa distinzione tra sogno e desiderio, che considero necessaria per introdurre il mio breve discorso, per Psiche, in verità, è completamente superflua. Psiche è fatta di sogni, ricordi, fantasie, desiderio, trauma, deliri e allucinazioni. Psiche è immagine.

Ho sognato, diciamo, pensando di aver prodotto qualcosa, un’azione efficace che attiri il sogno a noi. Ma non esiste nessun comando o interruttore che ci induca a sognare o a immaginare. Sogno e immaginazione non hanno bisogno di ricordarci che esistono né si sforzano di spronarci a un cambiamento; di noi, per la verità, non se ne importano granché. Se avessero a cuore la nostra sorte, si sforzerebbero di chiarirci le idee sulle nostre azioni e sul nostro destino, ci farebbero uno schemino di facile interpretazione invece di metterci costantemente alla ricerca di significati e significanti.

Sogno e immaginazione sono il linguaggio di Psiche che mette in scena il nostro dramma – o la nostra commedia – meglio di Brecht o di Eduardo, con rispetto parlando. E lo spettacolo, signore e signori, non finisce mai. Ma, attenzione, il biglietto costa la rinuncia (temporanea) dell’attenzione al mondo concreto delle cose e delle idee. Se non molli la presa, se non chiudi gli occhi, non ti diverti! Devi sederti sulla tua poltrona senza sapere se guarderai un film horror o una storia romantica, devi affidarti.

È un po’ come guardare un film di Kubrick; quando esci dalla sala o ti alzi dal divano, non sai mai veramente cosa hai visto, devi fartene tu una ragione.

Mi piace molto sovrapporre sogno e immaginazione al cinema: in tutte e due i casi siamo soli, nel buio e nel silenzio, dunque in una condizione di semi isolamento sensoriale, in uno stato addormentato o meditativo; non guardiamo mai in maniera passiva, ci identifichiamo in tutti gli elementi e in tutti i personaggi (si chiama identificazione laterale) e dunque ci coinvolge interamente, anche sensorialmente; non siamo mai solo un contenitore, ma un amplificatore di immagini.

Infatti, durante e dopo la visione potresti porti come un critico, esaminare gli aspetti concettuali del film, perderti, affascinato, nei tecnicismi, nelle simmetricità delle inquadrature, in quando è figa la steadycam, in quanto è potente la fotografia; potresti porti come uno spettatore ingenuo che esce dalla sala scrollando le spalle con gli angoli della bocca all’ingiù perché non c’ha capito niente e va in giro a dirne peste e corna con gli amici, a sconsigliargli di buttare il tempo in una cosa inutile, oppure come un appassionato che si riguarda il film almeno una decina di volte, che si mette a collezionare foto di Kubrick e si guarda i video del backstage su youtube perché vuole cogliere una verità che gli sfugge; ma, qualunque cosa farai, quella sarà la tua lettura immaginale del film-sogno e dirà tanto su di te e su di come guardi il mondo, che tu lo voglia o no.

Insomma, non se ne esce. Noi siamo dentro Psiche, siamo una sua immagine.

Ovviamente, l’immaginazione e il sogno non si possono allenare perché sono già perfetti così come sono. Però possiamo contemplarli, accoglierli e avvicinarci al loro linguaggio, amplificarli. Con le parole, che sono immagini che si sono rese disponibili per le nostre corde vocali e per le nostre penne, possiamo portare nel mondo le nostre verità che solo Psiche conosce.

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