Per nascere talvolta ci vuole rabbia e odio, voglia di farsi fuori da un ventre ormai asfittico, agire un atto di spietato amore verso se stessi. Si nasce tra le urla e il sangue e si piange. Vivere non è ottundere il dolore ma ammetterlo e contemplarlo come necessario, come una spinta vitale.
C’è un rumore di fondo, qui, proprio nel mio cervello, una specie di vibrazione costante che parte dalla testa e poi viaggia per tutto il mio corpo passando per la gola, e poi va nello stomaco, certe volte scende giù nelle gambe, una vibrazione di paura. La sento tutte le volte che mi spingo un po’ più in là dei limiti che per qualche strana ragione si sono costituiti attorno a me, vuoi per l’isolamento forzato in cui mi sono messa, vuoi per la sfiducia nelle mie capacità a essere chi sono. Tutte le volte che metto piede fuori dal recinto, mi viene paura e la mia testa comincia a ronzare e a parlare di cose sconce del tipo che faccio schifo, che una volta fuori verrò schiacciata come un brufolo dalla faccia dell’umanità, che tutte le belle cose che ho da dire sono state già dette, molte volte e molto meglio. Dice anche che sono un cesso, una specie di fenomeno da baraccone e poi mi rimprovera, mi dice, ma che cazzo ti sei messa in testa? Non vedi che non vali niente? Le tue verità non valgono niente, i tuoi bisogni non valgono niente, sei infima e sporca, acida, andata a male. Mi spinge indietro e mi richiude la porta.
Sono in un periodo strano, non ho più voglia di soccombere a questa voce; improvvisamente voglio credere in me, voglio credere di poter essere libera e felice nel mondo, voglio tenermi questo sogno e andare avanti, ma a ogni passo la voce mi stringe lo stomaco e mi blocca le gambe.
Che ne sarà di me? Mi trucideranno là fuori? Mi massacreranno? Non lo so. Vado avanti un passetto alla volta come se camminassi sul ghiaccio, vado a tentativi, cerco di tenermi in vita.
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