Il sole a piazza Bovio

“Del tutto impreparati, entriamo nel pomeriggio della vita. Peggio ancora, lo affrontiamo partendo dal falso presupposto che le nostre verità e i nostri ideali ci saranno d’aiuto, come hanno fatto finora. Ma non ci è possibile vivere il pomeriggio della vita seguendo il programma del suo mattino. Perché ciò che è grande al mattino, sarà piccolo la sera. E le verità del mattino diventeranno le falsità della sera”

Wayne W. Dyer

È incredibile come le cose cambino così velocemente. Solo l’altro ieri avevo vent’anni e camminavo a passo svelto per il corso Umberto. Chissà dove andavo nella bella luce aranciata di controra in una giornata quasi estiva.

Avevo addosso qual vestitino azzurro con i fiorellini bianchi minuscoli che mi piaceva tanto perché mi strizzava il seno bianco e mi accarezzava le gambe, fasciandomi la figura ad ogni passo. Era un vestito morbido. Io ero morbida. Fluttuavo insieme al tessuto a fiori, insieme ai miei capelli lunghi, neri e ramati di sole.

Mentre andavo, mi giravo a guardarmi nelle vetrine, il contrasto dei miei colori, la bocca rossa su un viso infantile, violentemente innocente, nessuna piega di amara disillusione, nessun segno di cruccio sulla fronte, una bambola di porcellana senza crepe. Ma dove andavo?

Napoli, a quell’ora è un formicaio di gente che bestemmia nel traffico, che cammina per strada come bisonti affamati alzando polvere e sputando bile. I bambini corrono facendosi largo tra i basamenti delle signore, appesantite oltre modo dalle buste della spesa, i turisti dispersi stanno col naso per aria mentre si ammantano di bellezza per cose per cui un napoletano non alzerebbe mai la testa, ma in realtà boccheggiano, annusano l’ossigeno, lo mordono.. È una città che trabocca di umori viscerali, di voci gutturali, che sa di monossido di carbonio e pizze fritte.

Ma io dove andavo? Ricordo solo la luce del tramonto oltre piazza Bovio. Tutto il rumore ottuso dal manto ramato del sole, figure umane e cose come ombre nel controluce; il tempo molle, tutto fluttua insieme al mio vestito, ai miei capelli, a me col sole negli occhi.

Forse è lì che andavo, verso piazza Bovio, verso il tramonto.

Il fatale appuntamento col tramonto. È tempo di addii. Cosa muoveva così svelte le tue gambe? Ora non ce la fai più. Che importa? Che importa?

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