Desenrascanço
In portoghese è la condizione esistenziale del procrastinatore che agisce solo quando proprio non può farne a meno. Richiede però una certa genialità: non solo significa risolvere una situazione all’ultimo minuto, ma anche riuscirci in maniera completamente improvvisata.
paroleintraducibili.it
Scrivo questo post alle 5.30 del mattino, il che non fa di me esattamente una procrastinatrice. Eppure lo sono, credetemi! Faccio gli auguri di compleanno alle 23.30, presento relazioni cinque minuti prima della scadenza, rimando la dieta a un lunedì. Mi piace rimandare a domani, questo significa letteralmente procrastinare: dal latino procrastinare, der. di crastĭnus, agg. di cras «domani», col pref. pro (io procràstino, ecc.), letteralmente, differire, rinviare da un giorno a un altro, dall’oggi al domani, allo scopo di guadagnare tempo o addirittura con l’intenzione di non fare quello che si dovrebbe. N.B. La definizione l’ho copiata pari pari dal sito della Treccani.
E qui casca l’asino, perché, se siete italiani e, mettiamo, dovete essere interrogati in matematica, state facendo un po’ i furbetti cercando di non affrontare la questione perché, sotto sotto, l’interrogazione non la volete fare. Ma se siete portoghesi state desenrascanç-ando, cioè state rimandando l’interrogazione al momento opportuno, tant’è che poi andate bene contro ogni aspettativa. Ora, il momento opportuno potrebbe non ricadere mai in nessuno dei momenti di un corso di scuola superiore, cioè, il momento opportuno potrebbe non essere convenzionalmente o istituzionalmente propizio, ma questa è un’altra storia che un giorno vi racconterò.
Ora, io non sono una linguista, sono solo una psicologa. Però le parole mi piacciono tanto che addirittura ne invento. Le parole sono importanti. Le parole sono emozioni, e le emozioni hanno così tante, infinite e poetiche sfumature che, se non riuscite ad esprimerle con le parole che la vostra cultura di riferimento vi mette a disposizione, potete andare ad esplorarne altre, di parole e di culture. E se neanche ne trovate, avete tutto il diritto di inventarvene. Vaffanculo la grammatica e la buona creanza!
Dunque, momento prescritto e momento opportuno mi fanno pensare a Kronos e Kairos; il primo è il tempo dell’orologio (il tic tac che vi fa venire l’ansia, per intenderci), la scadenza, la data dell’interrogazione, il meno tre, due, uno, auguri buon anno, l’inizio e la fine della luce del giorno; il secondo è il tempo dell’anima, la puntuale congiuntura tra un evento esterno ed uno interno. Insomma, per dirla con un esempio, è il prendersi una laurea in matematica a cinquant’anni perché in fondo lo sapevate che dentro di voi c’era un matematico, tant’è vero che quella volta al liceo siete andati bene all’interrogazione anche se non avevate aperto il libro perché c’avevate una specie di vocazione per i numeri ma non ve ne siete accorti perché non eravate pronti ad accorgervene.
Insomma, parliamoci chiaro, noi italiani siamo procrastinatori ansiosi; l’evento che rimandiamo a domani ci presenta un implicito rifiuto ad obbedire alla richiesta esterna di adeguatezza, di attitudine alla performance, a piegarci alla volontà di Kronos. Arrivare preparati al compito non è questione che ci riguarda perché noi siamo devoti a Kairos; il tempo che ci separava dalla scadenza lo abbiamo impiegato in altro, probabilmente lo abbiamo impiegato a meditare la risoluzione del problema o a negarlo addirittura. A dirla tutta, a me stanno più simpatici i portoghesi che riconoscono un lampo di genio nella risoluzione del compito, che poi è un modo per far andare d’accordo i due K! Eh, sì, un modo per conciliarli si deve trovare, altrimenti v’immaginate cosa accadrebbe se diceste al prof, vengo all’interrogazione quando lo riterrò opportuno?
Poiché questo è un blog di storie, non voglio venire meno al telos di queste pagine mancando di raccontarvi una storia che abbia come tema la procrastinazione e che giustifichi il titolo di questo articolo poiché la storia che voglio raccontarvi è proprio la mia ed è quella che mi ha onorato del titolo di regina della procrastinazione.
Venticinque anni or sono, frequentavo la facoltà di psicologia alla Sapienza di Roma con passione e profitto. Tuttavia, tra un esame e l’altro, amavo bamboleggiarmi in attività che poco avevano a che fare con lo studio fino a quando la vista della scadenza dell’esame mi metteva addosso quel simpatico fremito misto a una pungente adrenalina che mi sollecitava a uno studio più fattivo e approfondito.
In particolare, mi ricordo l’esame di Sessuologia Clinica. In quel caso il simpatico fremito tardava ad arrivare mentre la data dell’appello si faceva come immagine sempre più divorante ma mano che le lancette dell’orologio marciavano verso quella data. Nonostante la mia totale impreparazione all’esame, essendo poco incline a misurarmi con i miei fallimenti, mi presentai lo stesso. Alle 9:00 entrai in aula e segnai il mio nome alla sesta o settima pagina di un lungo elenco di esaminandi. Facendo due calcoli a mente fu facile prevedere che l’esame l’avrei sostenuto in tardo pomeriggio.
Che fermento che era quell’aula: la professoressa e un esercito di assistenti esaminava gli studenti circondati da una crocchia di allievi concitati che prendevano appunti e consultavano testi. Be’, ascolterò e prenderò appunti anch’io, dicevo; male che vada sarà una giornata di preparazione all’appello successivo, dicevo. Così mi spostavo da un assistente all’altra, da una crocchia all’altra per incamerare quante più informazioni possibili ed avere una percezione più chiara definita di ciò che mi avrebbe aspettato all’appello successivo.
Arrivate le 18.00 del pomeriggio, un assistente chiamò il mio nome: D’Orlando! Eccomi, risposi, e mi sedetti di fronte a lui. Ora, davvero non ebbi il tempo di pensare, mi sentii chiamare e risposi con una tipica e genuina spontaneità che mi contraddistingue senza rendermi conto che io non avevo studiato neanche una pagina di quell’esame. Cioè, i testi non avevano neanche quella riga di piega sul dorso, segno che, almeno, il libro lo hai aperto. Eppure qualcosa dentro di me mi ripeteva: sono ore che ascolti risposte. A domanda, cerca quella giusta.
Ventotto. Spaccato. Vabbè, non mi fa onore quello che vi ho raccontato ma onora la procrastinazione come tempo di incubazione, immaginazione, genio. E per genio non intendo il fatto che ho superato l’esame perché sono un genio, intendo la fiducia per una saggezza interiore che sa presentarsi al momento opportuno. E in questo sono molto portoghese e poco italiana.
Dunque, Kronos e Kairos non sono facce della stessa medaglia, non sono nemici che si fanno battaglia. Sono rispettivamente padre e figlio; il primo genera il secondo, il tempo dell’orologio genera il tempo opportuno. Il mortifero scorrere delle lancette genera il vitale tempo interiore, l’inesorabile genera l’insondabile, la norma genera la possibilità. Quando si incontrano è festa grande! Potrei osare e dire che la morte genera la vita, ma questa è un’altra storia che un giorno vi racconterò.
Rispondi